Prima li chiamavano "Italians". Una definizione che comprendeva gli italiani nati all'estero e cresciuti nella penisola. Ma ora la parola sta troppo stretta a una realtà che coinvolge centinaia di migliaia di ragazzi. Insomma, italiani e basta. Naturalmente il discorso vale per lo sport, per tutti gli azzurri che per diventare tali hanno spesso slalomeggiato fra leggi complicate e burocrazia ostile. A Rio, quasi il dieci per cento della spedizione olimpica italiana era formato da atleti nati all'estero. E in questo "atlante" c'è un angolo di mondo dove l'Italia fuori sede è molto forte: l'isola di Cuba.
A Cuba sono nati cinque azzurri che hanno partecipato alle gare di Rio. E fra questi, il simbolo forse è Frank Chamizo, campione mondiale di lotta libera e medaglia di bronzo in un contestato e complicato torneo olimpico in Brasile. Il verdetto con cui Toghrul Asgarov, lottatore dell'Azerbaigian, ha battuto Frank in semifinale, è stato infatti molto contestato. Fra l'altro, l'azero è al centro di un potenziale caso di doping post gara olimpica. Comunque Chamizo voleva di più. Magari a Tokyo...
È di Cuba anche Libania Grenot, la "panterita", specialista dei 400 metri, ottava in finale nella gara individuale e sesta nella staffetta 4X400. Ma quello che è andato più avanti è stato Osmany Juantorena, uno dei simboli della pallavolo azzurra, che ha conquistato la medaglia d'argento. Osmany è il nipote di Alberto Juantorena, due volte d'oro, sui 400 e 800 metri, alle Olimpiadi di Montreal 1976, e mito vivente dello sport cubano. Yadisleidy Pedroso invece ha raggiunto la semifinale dei 400 ostacoli, stesso traguardo tagliato da Yusneysi Santiusti. Insomma, l'Italia cubana se l'e cavata bene.
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